La Domestica Villa, oggi Villa Malacari, viene costruita nel 1668 da Andrea Malacari. Si trova lungo la strada principale che, da est, porta al piccolo borgo medievale: una sella stretta ai piedi del colle dove sorge la quattrocentesca rocca di Offagna.
La villa fu costruita con l’intento di raggrupparvi tutte le attività agricole: la cantina, i magazzini del grano, il frantoio dell’olio, le stalle dei cavalli, la falegnameria ed attrezzeria; era inoltre la residenza di campagna della famiglia dei conti Malacari di Grigiano.
Una sorta di villa-fortezza, in mattoni, che si sviluppa in lunghezza e si affaccia sulla strada dal lato nord, disposta su due piani nell’area centrale e su tre piani ai lati, dove si trovano i magazzini, la chiesa di San Bernardino e la casa del fattore.
Per armonizzare la costruzione sul lato sud fu realizzato un giardino pensile, sorretto da un alto muraglione in pietra arenaria, con, al centro, due scaloni ricurvi e simmetrici, che circondano una cisterna interrata. Nella cisterna erano convogliate le acque piovane che venivano dai tetti e dal giardino.
La pianta ha la figura di un mezzo rombo, con due ali centrali che sono occupate dalle cantine al piano terreno e sotterraneo, e dalla residenza al primo piano. Altre due ali che formano due angoli chiusi sono occupate dai magazzini e dalle stalle.
Le Cantine al piano terreno, come gli ambienti del vecchio frantoio, dei granai, delle stalle dei cavalli e della legnaia, sono costruiti su archi, con volte a crociera o a botte; i pavimenti in cotto locale.
Le cantine partono dal lato più ad est. Una volta, dalla strada, attraverso finestre e scivoli, le uve venivano convogliate all’interno della cantina, nella “canale”, la tramoggia di legno, dove venivano pigiate con i piedi. Da questo grande ambiente, dove si facevano anche le torchiature, i mosti venivano travasati nei tini di legno di quercia, dove avveniva la fermentazione. Di seguito, andando verso ovest, si arrivava nella bottaia: ambiente più alto e buio, dove i vini oramai pronti, venivano messi ad affinare in grandi botti da 40 o 50 ettolitri. Gli ambienti erano e sono tuttora divisi per le differenti funzioni e le differenti necessità di umidità e temperatura. Sotto le cantine si sviluppa un lungo dedalo di sotterranei dove venivano posti a maturare i vini per periodi più lunghi.
Al piano nobile della villa si accede da una scala circolare che parte dal centro della costruzione.
Sul portale in pietra vi è l’iscrizione: “Abbiti a Porto la Domestica Villa” ed in basso inciso “Salve” a dimostrazione dell’amore della famiglia Malacari per il luogo, considerato per tre secoli rifugio e conforto e per la tradizionale ospitalità della casa.
I Pavimenti secenteschi del piano nobile sono in pregevole cotto rosso e giallo, a disegni geometrici. L’interno si sviluppa in una serie di saloni e camere unite da una galleria, abbelliti da stucchi settecenteschi con motivi floreali.
Nel giardino, racchiuso su tre lati dalla costruzione, ed aperto verso mezzogiorno, quasi un giardino segreto, si trovano alberi centenari: cedri, pini e tre diversi tipi di Leccio, uno dei quali (l’ilex Quercuus) è considerato il più vecchio Leccio dell’intera regione Marche: un albero di almeno 300 anni.
Il giardino nella bella stagione è ornato di fiori e gli ospiti vengono accolti fra le aiuole di zinnie, ortensie, canne, fra i bossi del giardino all’italiana, i fiori di oleandro e all’ombra degli alti alberi. Ad ottobre il ritmo e l’aspetto del luogo sembrano capovolgersi: ricompare la funzione agricola produttiva, si montano le tettoie che proteggeranno le tramogge, il tavolo di selezione e la diraspa pigiatrice, in attesa dei carri con le cassette piene di uva. Anche la vite canadese che ricopre le pareti della villa da verde, diventa rossa, come per cambiare anche lei registro.